sabato 27 novembre 2010

La sicurezza degli oggetti

In treno, mentre leggevo un articolo sul bivio di fronte al quale si trova la carriera 'politica' di Mara Carfagna, mi sono accorto di non avere indossato, per la fretta di partire, nessuno dei due miei amuleti: l'anello che porto da quasi 15 anni - e che ha impedito alla mia falange di svilupparsi sotto di lui - e il bracciale romano. La nudità della mano e del polso destro mi hanno provocato una sorta di brivido allo stomaco, molto simile al panico. Troppo importanti, troppi pieni di significato quegli oggetti perché lo loro assenza non porti con sé qualche omen funesto, ho pensato.
Poi però, inaspettatamente, con la stessa rapidità del brivido, una sorta di scossa sottile ha attraversato da parte a parte il mio cervello, collegando idealmente le orecchie. L'ho proprio visualizzata, come la linea di un encefalogramma o i parallelepipedi colorati che compongono l'immagine di un equalizzatore. C'era scritto: Dimentica.

Allora ho pensato che nel magma di questo periodo potesse essere anche quello un segno, ma un segno reale, disposto ad indicare la strada per liberarmi dalla schiavitù dei talismani, dalla "sicurezza degli oggetti", tanto per citare il bellissimo titolo di un romanzo. Un segno per liberarsi dal vincolo dei segni. Paradossale, in effetti.

Eppure, tutto sommato, questo paradosso è abbastanza rappresentativo del rapporto che ciascuno di noi, chi più chi meno, intrattiene con gli oggetti: se uno ci pensa, la concretezza caratteriale di una persona è quasi sempre inversamente proporzionale alla necessità che questa persona ha di 'aggrapparsi' al mondo dell'esperienza sensibile. Al fenomeno, per dirla con Kant.
Se invece sei uno che nel suo cervello decompone anche il più minimo dei granelli di cui è fatta l'esistenza, più di frequente sarai portato a caricare gli oggetti di un valore esorbitante. La gamma espressiva di soggetti del genere è varia: c'è chi diventa pazzo perché scova un segno sull'intonaco del salotto, o chi pensa che se non indosserà 'le mutande portafortuna' al colloquio sicuramente rimarrà disoccupato.
Ma in fondo sono banalità e chissà dove sta il vero. Una cosa però è certa: le mie mutande portafortuna ormai hanno l'elastico lento e io sono ancora senza lavoro.